Big Thief “U.F.O.F.”

Big Thief “U.F.O.F.”
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Etichetta: 4AD

Brani: Contact / U.F.O.F. / Cattails / From / Open Desert / Orange / Century / Strange / Betsy / Terminal Paradise / Jenni / Magic Dealer
Produttore: Andrew Sarlo

 

U.F.O.F. è il terzo album dei Big Thief, il primo su etichetta 4AD dopo i due pubblicati su Saddle Creek. Il terzo, si sa, è il disco della maturità e la band newyorkese con le dodici nuove tracce è pronta non solo a confermare quanto di buono aveva già dimostrato fin qui ma anche ad accreditarsi come uno dei nomi più originali e credibili del panorama folk-rock a stelle e strisce.

A dispetto dell’estrema semplicità della formula musicale, Adrianne Lenker e soci sono in grado di fare tremendamente sul serio quando si tratta di andare nel profondo dell’arte di scrivere canzoni. Il primo ascolto potrebbe essere ingannevole se non si presta attenzione a tutte le sfumature nascoste tra musica e parole. Si potrebbe rischiare di etichettare U.F.O.F. come l’ennesimo disco folk un po’ derivativo un po’ hipster e passare oltre. Già dal secondo ascolto, però, la voce di Adrianne inizia a scavare dentro, a impossessarsi dei sensi dell’ascoltatore e a non mollarlo più. Le sue sono storie di fantasmi, di figure che compaiono con la stessa velocità con cui spariscono. Adrianne è la stessa poetessa che in Mythological Beauty, il singolo del precedente album Capacity, aveva raccontato con mirabile equilibrio lirico e con un’imprudenza degna dei migliori Red House Painters dell’incidente che ha rischiato di ucciderla quando aveva appena cinque anni.

U.F.O.F. è pieno di filastrocche letali, canzoncine apparentemente innocue che cantano una verità dietro l’altra senza pietà, senza inutili difese, senza paura. Si passa da incantesimi in odore di Fleet Foxes (Cattails) a derive decisamente slow (Terminal Paradise, Magic Dealer), si contempla un’indolenza primaverile e floreale (Century) e ci si arrampica su una sorta di inno alt-country (Orange): tutto questo con la delicatezza e il coraggio di chi non deve dimostrare nulla ma semplicemente si è imposto il compito di creare bellezza dai traumi di una vita. In questo senso, è un miracolo tutto ciò che i Big Thief fanno con impareggiabile nonchalance, con eleganza non ostentata e con più che cristallino talento. Il fatto che spesso si abbia la sensazione che le canzoni siano sul punto di esplodere e rimangano invece a ciondolare tra debolezza e assoluto, senza bisogno di deflagrare, ci dice che in potenza c’è anche altro oltre quanto scritto cantato e suonato finora? Probabilmente sì, ma per ora va benissimo tutto questo.

 

 

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